Nello spiazzo antistante la missione dei padri della Consolata di Saguta Marmar, 30 km a sud di Maralal, circa tremila rifugiati Samburu, anziani, donne e bambini, venivano assistiti dai padri della missione supportati da un convoglio della Croce Rossa kenyota recante un carico di alimenti e sacchi di Unimix.
Col vescovo della Diocesi di Maralal, Mons. Virgilio Pante, ci recammo ad Amaya, piccolo insediamento urbano al confine tra i due distretti. Attraversammo chilometri di altipiano disseminato di villaggi deserti dove gli unici animali presenti erano zebre e gazzelle.
Amaya era prima popolata da entrambe le etnie; Samburu e Pokot coabitavano in reciproca tolleranza come era facile riscontrare in tutti gli insediamenti umani di confine. Ad Amaya trovammo solo i Samburu che non erano riusciti a fuggire e cioè, come sempre, anziani, donne e bambini, “protetti”da tre lividi soldati dell’esercito nazionale che sembravano più spaventati di loro.
Lasciammo il nostro carico di circa sei quintali di alimenti che eravamo riusciti a stipare nel Toyota e prendemmo atto del terribile stato di desolazione che si era impadronito in poco tempo di quel vasto territorio.
Nei mesi che seguirono gli attacchi della guerriglia sono continuati incessanti e il piccolo ospedale di Maralal ha continuato ad accogliere i feriti. Nessuno è per ora in grado di dare una stima esatta del numero dei morti che si suppone sia di qualche centinaio.
Il conflitto è dunque orientato verso il controllo delle risorse, acqua e pascoli, alimentato da antiche ostilità tribali e agevolato dalla facile reperibilità di armi da fuoco illegali.
La regione del Nord Rift poi, oltre ad essere soggetta a condizioni climatiche avverse, soffre della mancanza totale di infrastrutture: non esistono ferrovie, le strade di terra battuta ( murran ) sono scarse, poco mantenute e impraticabili durante la stagione delle piogge.
A Maralal, capoluogo del Samburu District, è presente un piccolo ospedale che insieme a quello di Wamba, a 130 km di distanza, non riesce minimamente ad accogliere la domanda di assistenza sanitaria della popolazione; la medicina sul territorio è inesistente e la scolarizzazione è bassissima.
La Diocesi di Maralal, nella persona del vescovo Pante, sta lavorando incessantemente alla ricerca di possibili soluzioni del conflitto. Si moltiplicano gli incontri con gli anziani delle rispettive etnie.
Gli anziani rappresentano un’autorità assoluta in seno alla tribù e le loro indicazioni vengono discusse, ma quasi sempre seguite. Ovviamente essi sospingono le istanze e le richieste del proprio popolo, orientate verso le necessità di base per la sopravvivenza e non è facile venire a capo della competizione per il controllo di risorse vitali già scarse quali acqua e pascoli.
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